24 Apr Elisabetta R. – Supply Chain Manager
Lavoro in un’azienda di medie dimensioni e non mi era mai capitato di lavorare da casa. Nella mia azienda non c’è mai stata questa abitudine e poi c’è sempre stato un bel clima di lavoro, di collaborazione tra di noi che rendeva funzionale e piacevole stare in azienda.
Da che anch’io sono stata obbligata a rimanere a casa e a lavorare in smartworking, ho dovuto affrontare altre difficoltà, non solo legate al cambiamento che ciò comportava – utilizzo di piattaforme, riunioni virtuali, email continue – ma soprattutto quelle legate a trovare un nuovo equilibrio tra mio il lavoro e gli impegni familiari.
Sparite le babysitter e le collaboratrici domestiche. Sparito l’aiuto dei nonni. La scuola che si fa in modo virtuale da casa. Il lavoro da portare avanti con l’urgenza del cambiamento imposto.
Tutto questo ha reso le mie giornate congestionate da tanti impegni.
Ho passato le prime settimane a tentare di tenere tutto sotto controllo, promettendomi alla fine di ogni giornata che l’indomani avrei fatto ancora di più e meglio per non venire meno a nessuna responsabilità, nella mia famiglia e al lavoro.
Come si può immaginare, la tenuta dei miei nervi è stata sottoposta a dura prova, ero diventata più reattiva, suscettibile e soprattutto mi sembrava di essere sola in uno sforzo titanico.
Altro che smartworking, mi ero infilata in extreme working! Una sera, poi, mi ha illuminato un pensiero nuovo: anziché chiedermi di fare ancora di più, mi sono posta la domanda: “E se, invece…?”
Ecco questa è stata la svolta.
Ho cominciato a considerare se era così indispensabile occuparmi in prima persona di verificare le attività scolastiche dei figli, se dovevo necessariamente cucinare due pasti al giorno, se dovevo per forza dare una risposta certa a tutti al lavoro.
Mi sono accorta, invece, che chiedendo aiuto e negoziando meglio gli impegni da prendere riuscivo a essere più focalizzata sulle cose importanti da fare e a non stremarmi.